C’è stato un anno in cui la Scottex ha preso l’usanza di scrivere sui rotoli per la cucina i grandi eventi della storia con le loro date, invenzioni, scoperte, costruzioni di monumenti. Mia nonna si appuntava tutto su una vecchia agenda, le date dello Scottex e tutte quelle che riusciva a fermare, mescolando indistintamente memorie personali e memoria collettiva: le dimissioni di Papa Ratzinger, le canzoni vincitrici di San Remo, le gite del centro anziani, l’abbattimento della statua di Saddam, la brina sui kiwi, la sfiducia al governo Prodi, l’invenzione del telegrafo, i morti di famiglia e i morti del mondo.

Il succedersi dei gatti nel suo cortile. Soprattutto faceva liste, metteva in fila.
Poi si è dimenticata tutto. Lei ha perso la memoria, io ho trovato la sua agenda. Sono partita da questo, dai suoi buchi e dai miei, e ho costruito quello che ci sta intorno.

In scena una donna. Prepara e si prepara. Sistema una vita piccola, da sempre mescolata e nascosta dietro al mondo di fuori, il mondo delle cose importanti, quelle che succedono agli altri, mette in fila i grandi eventi e il quotidiano. È sempre pronta ad iniziare, non sa finire. Ha confidenza con la morte e con le cose già finite, ma non sa come gestire la parte che sta in mezzo. Allora parla, si perde in una litania borbottata, ossessiva e anestetica che sostituisce la vita stessa, nel tentativo di metterla al suo posto, di far finire tutto bene. Colloca, si aggrappa alle cose ferme: fa mondo, a modo suo. Poi le cose cominciano a uscire dalla fila, scappano e cadono pezzi di vita. Si dice “sta perdendo la memoria”, succede che si perde il mondo intero. E se cadono le parole, se non le chiami più, poi le cose come esistono da sole? “Come lo pensi il mare se non hai più l’acqua nella testa”? Resta lei, sospesa davanti ad un elenco muto, appena prima di una fine che non arriva mai.

La caduta di un corpo ha inizio quando è nel punto più alto e più lontano da terra, ma di solito si ricorda solo il momento finale, lo schianto. Allo stesso modo una perdita, di qualunque tipo essa sia, incomincia in un tempo in cui ancora teniamo (ci-teniamo) e, trattenendo, cerchiamo di farci trovare pronti all’ineluttabile momento del lasciare. Di solito, inutilmente.